Guardando nel fondo della settima bolgia si vede una «terribile stipa / di serpenti e di sì diversa mena / che la memoria il sangue ancor mi scipa» (vv. 82-84). Dal tono elevato, da dramma borghese, tenuto finora nel dialogo fra i due viandanti, si vira bruscamente al pulp (anche se di qualità altissima, beninteso), entrando in un rettilario spaventoso in cui Dante, con vena sontuosamente espressionistica, ci ammannisce versi succulenti cone questi: «Più non si vanti Libia con sua rena; / ché se chelidri, iaculi e faree / produce, e cencri con anfisibena, // né tante pestilenze né si ree / mostrò già mai con tutta l’Etïopia / né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe» (vv. 85-90).
(In una scuola ideale, in cui il tempo disponibile non fosse un problema – tipo un liceo in cui si studiasse solo la Divina Commedia! – sarebbe bello a…
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